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18/12/2010 12:44 | |
Ho già scritto un po' di roba a questo proposito e fortunatamente l'ho tenuta in archivio
MasslessMeson, 10/25/2010 1:02 AM:
Visto che questo è un argomento che mi sta abbastanza a cuore per la quantità spropositata di persone che cercano di approfittarsi della disinformazione che ci gira intorno, e visto che ho appena finito di scrivere un megawallpost della morte su questo argomento su TW, lo riporto qui, in parte per praticità di funzioni di archivio, e in parte perché so che qui si possono fare discorsi più costruttivi e approfonditi che dillà.
Ok, prima cosa reciclo un post vecchio sulla storia evolutiva dell'AIDS/come ci siam trovati ad averlo noi esseri umani:
Da Dove Viene L'HIV? Primo: Da dove viene l'HIV ?
Non è una cospirazione gigante dei padroni rettiliani, sembra ovvio ma c'è gente che ci crede. E non è stata una cosa facile da stabilire, solo adesso, dopo 25 anni di ricerca, possiamo dire con certezza un po' di cose sull'HIV. Negli anni 80', quando ha cominciato a diffondersi la consapevolezza dell'esistenza dell'HIV, sembrava fosse uscito dal nulla (Forse qualcuno di voi se lo ricorda pure).
L'HIV è un lentivirus, e possiamo dirlo con certezza per via del suo genoma e per il suo ciclo vitale. Non ha un ciclo vitale particolarmente strano visto il genere a cui appartiene: infetta cellule del sistema immunitario, specialmente macrofagi e cellule CD4+T. Ci sono lentivirus che infettano tante altre specie, tipo gatti (FIV), bovini (BIV), cavalli(EIAV), pecore (OMVV), uno colpisce perfino per i puma (FIV-POL), e sono tutti strettamente imparentati, come si può facilmente vedere dalle sequenze genomiche. Non tutti questi virus causano malattie al proprio ospite. Esempio: il ceppo di SIV (Simian Immunodeficiency Virus) che colpisce il Cercopiteco Gialloverde (Chlorocebus sabaeus) non fa quasi nulla al proprio ospite; Lo stesso vale per il ceppo del Macaco Rhesus (Macaca mulatta); Ma se prendete un macaco, una scimmia asiatica, e lo infettate con il ceppo di SIV della scimmia africana (o viceversa), la scimmia diventa immunodeficiente. Contrae l'AIDS. Praticamente identico a quello che colpisce gli esseri umani.
Questo ha fatto subito capire che l'HIV non doveva essere un virus che colpisce gli umani da molto tempo. Se si fosse evoluto insieme agli esseri umani, sarebbe molto meno patogenico, come i ceppi che non fanno nulla alle scimmie. Quindi, chi ce l'ha passato?
Abbiamo sequenziato i genomi di letteralmente migliaia di ceppi di HIV, e per quanto possano variare (e molto) in certi punti, avevano tutti una sospetta omologia con vari ceppi di SIV. Per fare chiarezza, di solito si classificano i ceppi di HIV in due specie principali: HIV-1 e HIV-2. Il parente più prossimo per l'HIV-1, è il SIV che infetta gli scimpanzé. Per l'HIV-2, la specie più largamente diffusa in africa, è il SIV che infetta il cercocebo moro (Cercocebus atys), una scimmia africana molto diffusa nell'africa occidentale.
L'africa da sola possiede molti più sottogruppi di HIV di tutti gli altri continenti. L'europa e il nordamerica sono dominati da un piccolo gruppo di varianti del virus, del gruppo m, sottotipo B. L'est-europa e la russia sono caratterizzate invece dal sottotipo C. Grazie a questo si può capire la diffusione geografica, attraverso il tempo, dei vari ceppi di HIV. E tutto questo suggerisce che il ceppo originale di HIV umano, venga dall'africa.
L'HIV e l'SIV si diffondono nello stesso modo: sesso, e contatto tra sangue. L'esposizione al sangue è molto più pericolosa del sesso (900 volte, per l'esattezza; C'è solo una probabilità su mille che un uomo l'HIV si trasmetta attraverso sesso non protetto (5 volte tanto per una donna): la maggior parte delle trasmissioni avviene attraverso trasfusioni,contagi madre/figlio e dividendo gli aghi per bucarsi);il che significa che la trasmissione da scimmia a essere umano è con ogni probabilità il risultato della caccia allo scimpanzè. Questo tipo di caccia (e alimentazione) è un attività molto ben documentata in moltissimi gruppi tribali in tutta l'Africa.
Basandoci su tasso di mutazioni e divergenza evolutiva, possiamo ricondurre un evento di trasmissione del virus dallo scimpanzè all'essere umano intorno al 1931 in quella che è oggi la Repubblica democratica del Congo. C'è la possibilità che il trasferimento si avvenuto anche nel 1880, ma non ci sono prove che questo trasferimento sia antenato di alcuno dei ceppi moderni.
Il primo caso accertato di infezione in un essere umano è del 1960, quindi la prima diffusione del virus può essere collocata nella seconda metà degli anni 50. Cosa succedeva negli anni 50 in Africa? Urbanizzazione. Il boom di popolazione combinato all'industrializzazione e al colonialismo, ha permesso la diffusione del virus su larga scala praticamente ovunque.
E' praticamente certo che ci siano stati multipli eventi di trasmissione tra scimmie ed esseri umani nelle varie comunità di cacciatori, ma l'isolamento combinato al tasso di infezione piuttosto basso non poteva permettere la diffusione su larga scala. Il virus moriva con l'ospite. Il passo successivo al Congo sembra essere stata l'europa, quindi il nordamerica passando per Haiti. Su questo non abbiamo dati molto precisi, però, e i primi focolai documentati nelle città europee furono scoperti solo dopo che l'infezione era già stata isolata negli States: l'emergenza nei due continenti deve essere in ogni caso stata molto ravvicinata. L'asia è stata colpita in un secondo tempo, e ancora dopo sud america e australia, come si può dedurre dalla storia genetica dei sottotipi locali.
I cospirazionisti di prima, tipo i raeliani, sostengono che l'HIV sia un prodotto umano. La teoria più diffusa è quella sostenuta da Edward Hooper, un corrispondente della BBC, e attribuisce la nascita dell'HIV all'uso di culture contaminate da SIV per la creazione dei vaccini per la polio negli anni 50 e 60. Tenne banco per un po', perché alla gente piace poter dare la colpa alle grandi case farmaceutiche malvagie, ma come ho appena raccontato, ormai abbiamo le prove che l'HIV esiste, nella sua forma moderna, da prima che esistesse il vaccino per la polio. E' assolutamente impossibile che l'HIV sia stato bioingegnerizzato come arma biologica; La biologia molecolare negli anni 50 esisteva appena, e anche oggi sarebbe dannatamente complicato fare i cambi molecolari necessari per trasformare l'SIV in HIV.
Fonti:
Science. 2000 Jun 9;288(5472):1789-96. Timing the ancestor of the HIV-1 pandemic strains.
Science 313, pp 523-526, 28 July 2006. Keele, B.F. et al., "Chimpanzee Reservoirs of Pandemic and Nonpandemic HIV-1"
Nature 397, 385-6 (1999). RA Weis and RW Wrangham. From Pan to pandemic.
Nature 428, 820 (22 April 2004) Origin of AIDS: Contaminated polio vaccine theory refuted
Nature 460, 515-519 (23 July 2009) Increased mortality and AIDS-like immunopathology in wild chimpanzees infected with SIVcpz.
Nature 397, 436-441 (4 February 1999) Origin of HIV-1 in the chimpanzee Pan troglodytes troglodytes
Nature 455, 661-664 (2 October 2008) Direct evidence of extensive diversity of HIV-1 in Kinshasa by 1960
Ora il malloppone: l'eziopatogenesi dell'HIV e le sue terapie:
Come funziona l'HIV?
La patogenesi dell'HIV è stata studiata in maniera estensiva per ormai più di 25 anni, e non è tuttavia ancora perfettamente compresa. I meccanismi patogenici dell'HIV sono estremamente complessi e multifattoriali, a volte perfino paradossali.
Ad esempio, l'HIV provoca un'ingente attivazione anomala nel sistema immunitario, e contemporaneamente una chiara immunodeficienza nello stesso individuo.
Il primo passo per comprendere l'HIV è arrivato nel 1984, quando è stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che il recettore principale del virus era la glicoproteina CD4, una proteina che si trova nella membrana dei linfociti (globuli bianchi) T helper, che non solo ammazzano virus e cellule tumorali, ma hanno una funzione di regolazione delle linfochinine, proteine che fanno svariate cose, tra cui attirare le cellule del sistema immunitario verso le zone infette.
Sfortunatamente, almeno fino agli anni novanta, gran parte degli altri cofattori non erano sufficientemente compresi, per quanto fosse chiaro che l'HIV avesse bisogno di una grande quantità di fattori per infettare le cellule. Nel 2003 però, si osservo come altri recettori sul linfocità T helper, il CXCR4, che consente al linfocita di capire dove andare per trovare l'infezione da colpire, e il CCR5, con una funzione simile al CXCR4, erano i luoghi di "ingresso" preferiti nel virus all'interno della cellula. In vitro, si riuscì a vedere che se i ligandi che normalmente occupano quei recettori sono presenti in quantità sufficiente, l'HIV non riesce a sfruttarli per entrare nel linfocita. Erano appena stati scoperti gli inibitori di fusione, uno degli "ingredienti" dei "cocktail" retrovirali più efficaci che abbiamo ancora oggi (Nonché un meraviglioso esempio di come la ricerca di base possa portare ad applicazioni pratiche inimmaginabili: i recettori sono stati studiati a fondo per la prima volta con uno studio sull'evoluzione del sistema immunitario).
Tuttavia l'HIV è un virus subdolo e altamente mutabile. Non solo non usa esclusivamente quei recettori, e quindi gli inibitori di fusione non erano, da soli, in grado di fermare la diffusione dell'infezione, ma di fronte alla pressione selettiva di queste tipo medicine l'HIV avrebbe potuto facilmente evolversi trovando vie alternative. Per di più, non risolvevano il problema della presenza dell'HIV nel corpo dell'individuo, ma tentavano di inibire la sua riproduzione e diffusione prevenendo l'AIDS.
Oggi si parla di varianti sinciziali (che sfruttano il CXCR4) e non sinciziali (che sfruttano altri cofattori) proprio perché sfruttando gli inibitori di fusione abbiamo colpito efficacemente la prima variante, ma aiutato la diffusione della seconda.
Sempre negli anni 90', intanto, si scoprì come il tessuto linfoide non solo era l'obiettivo preferito dell'infezione da HIV, ma anche la sua "riserva". Diventò chiaro che l'HIV si replicava a ritmi diversi nel tessuto linfoide indipendentemente dalla salute del paziente; Il ritmo degenerativo dell'HIV non è compreso perfettamente, ma già ai tempi era chiaro che di fronte ad un infezione di HIV l'insorgere dell'AIDS era sostanzialmente inevitabile.
Contemporaneamente, l'invenzione di nuove tecniche per misurare precisamente piccole quantità di acidi nucleici, necessarie per imprese di genetica come il Progetto Genoma Umano, aveva permesso finalmente una quantificazione precisa dell'RNA virale, e permise di migliorare la nostra comprensione delle relazioni tra quantità di virus, risposta immunitaria, stato dei linfociti T, e risposta alle terapie.
(Quest'ultimo paragrafo presuppone che abbiate una comprensione almeno elementare di come funziona un virus generico. Se non l'avete, beh, forse è il caso che alzate il naso dalla gazzetta dello sport e andate a informarvi su qualcosa di più fondamentalmente utile dei peli del buco del culo del vostro giocatore preferito)
Finalmente si poteva misurare in maniera semplice e chiara quanto una terapia avesse effetto. E grazie ad un evoluzione di quelle stesse tecniche che oggi siamo in grado di stabilire qual'è la terapia più adatta nei vari casi.
Poco prima di tutto questo, da ricerche principalmente svolte a trovare una cura per il cancro, saltarono fuori gli Inibitori di Trascrittasi Inversa. Un farmaco, l'AZT, sviluppato come chemioterapico per il cancro si dimostrò sorprendentemente molto più efficace contro l'HIV: nei primi anni 90 divento la prima terapia accessibile a tutti. Come dice il nome della classe a cui appartiene, il farmaco inibisce la trascrittasi inversa, un enzima fondamentale per la riproduzione del virus.
Quando l'HIV infetta una cellula, copia il suo patrimonio genetico virale (Che è RNA, singolo filamento) all'interno del genoma della cellula (La classica doppia elica di Watson & Crick), in particolari siti dei cromosomi, che poi vengono letti dalla cellula e permettono la produzione delle copie virali. L'inibitore blocca l'enzima prima che possa completare la sintesi della doppia elica di DNA virale, impedendo la progressione dell'infezione. Questo è il concetto fondamentale alla base di tutti gli inibitori di trascrittasi, che sono molti e bloccano particolari passi nel processo sfruttando molteplici meccanismi: nelle terapie moderne, molteplici inibitori diversi sono combinati in base al carico virale per garantire la massima efficacia.
Con le prime combinazioni di RTI (reverse transcriptase inhibitors), i risultati sembravano essere eccezionali: l'RNA virale non era più rilevabile nel sangue del paziente, neanche con le tecniche più moderne di cui ho parlato prima.
Ma, purtroppo, neanche questo era abbastanza. Perfino in pazienti in cui la terapia antiretrovirale aveva reso irrilevabile il virus per più di tre anni, nel momento in cui si smetteva di somministrarle in poche settimane si era al punto di partenza, se non peggio. E gli effetti collaterali dei farmaci non erano certo una passeggiata.
Le riserve nel tessuto linfoide di cui ho parlato prima non riscivano ad essere intaccate da questi farmaci. Ci voleva qualcosa che attaccasse il virus anche dopo che esso era stato tradotto...
E nel giro di pochi anni, questa volta mutuati dalla ricerca sull'epatite virale, arrivarono gli inibitori di proteasi. Dopo che il genoma virale si è copiato dalla versione clandestina che ha inserito nel DNA cellulare, prima di attivarsi deve essere "tagliato" e "ripiegato" nella maniera giusta. Quella che viene copiata a conti fatti è una proteina che si chiama GAG, che contiene tutta una serie di proteine virali in una singola lunga catena polipeptidica lineare. La proteasi, un enzima cellulare, taglia la catena all'altezza di nucleotidi specifici per produrre più proteine virali funzionali.
Gli inibitori di proteasi si legano proprio all'enzima, e gli impediscono di tagliare la GAG e produrre virus. Sono farmaci estremamente potenti e con tantissimi effetti collatarali, ma sono uno dei pochi modi efficaci per evitare che le riserve di HIV tornino attive da un momento all'altro. Inoltre, gli inibitori di proteasi sono ri-mutuati per essere utilizzati nella terapia contro il cancro.
Da ricerche su questo tipo di farmaci, negli ultimissimi anni (2008 i primi test clinici), sono anche stati inventati quelli che vengono definiti "inibitori di maturazione". Si "fingono" proteasi e si legano a determinati siti sulla GAG, impedendogli di essere portata a maturazione venendo tagliuzzata. E' un grosso passo in avanti, ma le Gag tendono a variare molto a seconda della sottospecie di HIV, che evolve molto alla svelta, ed è quindi difficile rendere questo tipo di farmaci efficaci in tutti i casi clinici.
RTI, inibitori di fusione e inibitori di protease costituiscono gli ingredienti fondamentali del cocktail antiretrovirale moderno: si stanno studiando molti farmaci più specifici con queste medesime funzioni, e nuove direzioni farmacologiche.
Oltre agli inibitori di maturazione, di cui ho già parlato, ci sono altri 3 tipi di approcci studiati ormai da qualche anno: gli inibitori di integrazione, gli inibitori di trascrizione, e gli inibitori di denudazione.
Gli inibitori di integrazione sono farmaci antiretrovirali che attancano l'integrasi, l'enzima virale che inserisce il genoma virale all'interno del genoma cellulare. Fermano sostanzialmente il processo un passo prima degli inibitori di trascrittasi inversa, ma i dettagli sono complicati.
Gli inibitori di trascrizione non bloccano la trascrizione in sé del DNA virale, ma una proteina, detta TAT, che è fondamentale per la riproduzione del virus: è questa proteina, infatti, che si assicura che l'HIV venga trascritto interamente, producendo tutte le proteine necessarie alla sua proliferazione. Senza di esso, l'HIV viene riprodotto solo in frammenti, che da soli non sono in grado di infettare altre cellule.
Gli inibitori di denudazione, inizialmente inventati come terapia per attaccare il virus dell'influenza, bloccano il virus dallo scoprire il suo contenuto di acido nucleico dalle proteine che lo incapsulano dopo essere entrato all'interno della membrana cellulare. La denudazione è opera di enzimi proteolitici cellulari: riuscire a bloccarli senza bloccare funzionalità cellulari importanti è difficile, ma non impossibile.
Questa nuova scoperta va a inibire una proteina, la DDX3, che normalmente facilita il trasporto dell'informazione genetica dal nucleo delle cellule (Dove c'è il genoma) al citoplasma (Dove l'informazione viene tradotta in proteine). Anche il genoma virale deve fare questo tragitto per essere tradotto in proteine: inibendo questa proteina, si "imprigiona" nel nucleo l'informazione virale, impedendogli di diventare un virus. Apparentemente questo non intacca altri il metabolismo cellulare in maniera drastica: su questa affermazione sono tuttavia estremamente scettico, almeno fino a quando non vedrò una sperimentazione fattuale e non una modellizzazione informatica.
Quello di attaccare un enzima cellulare è sicuramente una buona idea (E non a caso è la direzione in cui le terapie più recenti si muovono), ma è complicata e sicuramente non è nuova (Come l'articolo lascia intendere.).
Il suo più grande vantaggio, a mio modo di vedere, è che si può applicare a tutto lo spettro dell'HIV, e, funzionando su una proteina cellulare piuttosto che su un enzima virale, garantisce che efficacia sul lunghissimo periodo prima che il virus si evolva e si adatti.
Insomma, per farla breve, è una scoperta di cui essere orgogliosi.
Niente fonti bibliografiche perché l'ho scritto a spanne e ci saranno un sacco di errori, siate clementi.
Fight 4 Your Freedom!, 12/18/2010 12:10 PM:
Comunque volevo chiedere a MM cosa ne pensa di un eventuale trattamento di tumori con una sovraespressione tessuto-specifica di PGC 1 alpha.
Qua a Bari è stato fatto per i tumori del colon sui topi con risultati eccezionali.
Mi spiace ma non so nulla di oncologia se non per quanto riguarda gli oncogeni, quindi anche se avessi un opinione (e su questo trattamento specifico non la ho) non sarei in grado di sostanziarla, mi spiace. |