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    Raskolnikov29
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    00 21/12/2010 08:43
    Minchia mi sono perso un bel po' di discussione..

    Intanto rispondo a Chaos e AtomBomb sulla questione dei lavoratori cinesi ammettendo ignoranza sull'argomento. Mi rendo conto che avendo la rete a disposizione la domanda suona come espressione di pigrizia notevole, ma se avete suggerimenti per informazioni sulla questione sparatene.


    Teorie, però quando i privati, i capitalisti, hanno sfasciato le economie planetarie è dovuto intervenire lo Stato per rimettere le cose a posto, perché altrimenti il tanto decantato mercato sarebbe andato a escort.

    Quando lo Stato si è defilato, concedendo deregulation su deregulation, concedendo ai capitalisti quello che chiedevano, il liberismo, la libertà d'azione, agire tanto il mercato si sarebbe sistemato da solo, ci siamo ritrovati con una crisi mondiale che non accenna a finire, e in Italia con 2/3 generazioni senza né presente né futuro.

    Quando i privati, i capitalisti fanno cazzate, è lo Stato a intervenire per salvare i loro sederini.



    Atom, fossi in te però io distinguerei molto fortemente il caso italiano dal resto del mondo, quello che dici ne guadagnerebbe parecchio.
    Perchè? Perchè in Italia è vero eccome che "2/3 generazioni" non hanno "né presente né futuro", però è molto azzardato mettere questo in relazione con deregulation e liberismo, cose che nel nostro Paese non si sa proprio dove stiano di casa, tanto che l'unico politico di rilievo che ha puntato sul definirsi "liberale" è Silviuccio bello, che ovviamente di liberale ha (forse) solo i costumi sessuali.
    Si tratta infatti del frutto dell'immobilismo (e della ingordigia) di una classe politica inadeguata che dura da almeno 15 anni, e infatti se non ricordo male è proprio da 15 anni circa che la produttività dei lavoratori italiani è sostanzialmente ferma.
    Almeno un elemento che sembra sostenere l'idea che almeno parte dei problemi italiani siano frutto dell'affidarsi al mercato c'è in effetti, e si tratta delle innovazioni nel mercato del lavoro, che suppongo siano uno degli elementi principali che hai in mente tu.
    Ora è vero che la "precarietà" è un problema (per quanto il termine sia abusato), ma è un problema di incentivi perversi determinati dal fatto che il mercato del lavoro italiano è dualistico: abbiamo cioè una serie di figure contrattuali che hanno praticamente 0 protezione, e i contratti a tempo indeterminato che in media prevedono una protezione molto forte. E' evidente che questo disincentiva un datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato, rinnovando invece di (mettiamo) sei mesi in sei mesi.
    Ma allora appunto è stato un errore introdurre quelle tipologie contrattuali, si potrebbe dire. Si potrebbe, però se uno guarda a quanto è diminuita la disoccupazione da quando sono state messe in atto queste riforme, magari non è questa la risposta che viene in mente..

    Per quanto riguarda invece il quadro globale, se quello che stai "proponendo" è uno stato che intervenga a proteggere e mantenere la concorrenza, siamo d'accordo. Con questo intendo l'attività antitrust, e in finanza sarebbe/sarebbe stato fondamentale evitare che istituzioni divengano "too big to fail". Nessun liberale può infatti vedere di buon occhio casi in cui i profitti sono privati ma le perdite vengono poi socializzate: il mercato è un meccanismo che premia ma anche che necessariamente punisce. Se elimini la punizione crei enorme "moral hazard", cioè incentivo ad assumere comportamenti rischiosi, perchè tanto se mi va male c'è lo stato a sostenermi.
    Ma è spesso proprio l'interventismo pubblico fatto in modo sbagliato (cioè, io credo, qualsiasi modo che vada a operare su singole istituzioni, o almeno che lo faccia senza determinare sufficienti "punizioni") a creare queste situazioni.
    Senza volere entrare in uno "stato vs mercato" che come tutte le contrapposizioni nette ha poco senso, quando invochiamo l'intervento statale come soluzione ricordiamoci ad esempio dell'attitudine del governo americano verso mortgage-backed securities prima della crisi.
    E quando parliamo di Europa ricordiamo che la crisi greca ad esempio non deriva da nient'altro che l'irresponsabilità dei politici greci..
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    rogerio guerrero
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    00 21/12/2010 09:03
    Re: Re: Re:
    Megablast, 20/12/2010 23.44:




    No guarda, con tutto il rispetto con te di ste robe non parlo proprio perchè sei cocciuto, in primis, e non affronti questi temi come piace a me, in secundis.

    Se ti poni meglio ed eviti gli habemus papa (sarebbe accusativo e ci andrebbe la m, vabbè...), se ne può discutere, togliendo anche gli ermeneutici e tutte queste robe inutili, io, ripeto, se vuoi parlo di economia e non di filosofia.
    E quello che propone Marx (ho letto lunghi passi del Capitale, non tutto perchè non mi interessava) è contro qualsiasi principio economico. Anche sociale, a mio parere, ma in questo non mi addentro.

    .



    Be dai ora fai il suscettibile se te la prendi per cosi poco, volevo punzecchiarti ma simpaticamente non avevo intenzioni maligne. Ti ho detto che fai il papa dell´economia mica che sei non so vedi tu, cmq era una pizzicata simpatica...

    Io non sono cocciuto sulle idee ma sulle definizioni, ma penso che sia una cosa necessaria soprattutto quando si parlano due galassie differenti come le nostre. Penso sia importante capirsi e tradursi se tu con A intendo B e io C, finiremo per litigare senza aver imparato niente ne tu ne io. A volte si da per scontato di parlare la stessa lingua ma non é cosí ed é anche positivo per certi versi.

    Per quanto riguarda Marx é ovvio che sia contro qualsiasi principio economico, é nei suoi intenti una rottura paradigmatica. Questo lo sapevo giä, ma lo sanno tutti. A meno che per principi economici tu non intenda qualcosa di fisso ed immutabile e per tanto non possa andare incontro a rotture paradigmatiche (cosa che avviene per ogni scienza). Per come l´hai messa tu, bisognerebbe fare un confronto tra la critica dell´economia politica marxista e quella che tu reputi piú adeguata. Ma per far questo bisognerebbe conoscere ambedue molto bene.

    Io non sono questa persona, mi occupo d´altro. Mi da fastidio che Marx, nei cui confronti su molte cose sono estremamente critico (su alcuni punti c´é anche inconciliabilitá), venga trattato come un Pol pot qualsiasi senza condizione di causa.
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    Megablast
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    Mi fanno male le dita
    00 21/12/2010 09:24
    Re: Re: Re: Re:
    rogerio guerrero, 21/12/2010 9.03:



    Be dai ora fai il suscettibile se te la prendi per cosi poco, volevo punzecchiarti ma simpaticamente non avevo intenzioni maligne. Ti ho detto che fai il papa dell´economia mica che sei non so vedi tu, cmq era una pizzicata simpatica...

    Io non sono cocciuto sulle idee ma sulle definizioni, ma penso che sia una cosa necessaria soprattutto quando si parlano due galassie differenti come le nostre. Penso sia importante capirsi e tradursi se tu con A intendo B e io C, finiremo per litigare senza aver imparato niente ne tu ne io. A volte si da per scontato di parlare la stessa lingua ma non é cosí ed é anche positivo per certi versi.

    Per quanto riguarda Marx é ovvio che sia contro qualsiasi principio economico, é nei suoi intenti una rottura paradigmatica. Questo lo sapevo giä, ma lo sanno tutti. A meno che per principi economici tu non intenda qualcosa di fisso ed immutabile e per tanto non possa andare incontro a rotture paradigmatiche (cosa che avviene per ogni scienza). Per come l´hai messa tu, bisognerebbe fare un confronto tra la critica dell´economia politica marxista e quella che tu reputi piú adeguata. Ma per far questo bisognerebbe conoscere ambedue molto bene.

    Io non sono questa persona, mi occupo d´altro. Mi da fastidio che Marx, nei cui confronti su molte cose sono estremamente critico (su alcuni punti c´é anche inconciliabilitá), venga trattato come un Pol pot qualsiasi senza condizione di causa.




    Mortacci tua non me la sono mica presa, ti rispondo con calma stasera [SM=x54477]
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    Nick Heavens
    Post: 685
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    Uppercarder
    00 21/12/2010 11:58
    Re:
    Megablast, 20/12/2010 22.19:


    E comunque Marx di economia capiva un cazzo, prendete il suo lavoro come filosofico, perchè per il resto è privo di una qualsiasi base, sia teorica che pratica. (preferisco non discutere su questo punto...)




    E vabbè, qua si arriva al delirio collettivo semplicemente in chiave anti-comunistam forzata.

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    AtomBomb
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    Registrato il: 02/11/2004
    Mi fanno male le dita
    00 21/12/2010 12:56
    Re:
    Raskolnikov29, 21/12/2010 8.43:

    Minchia mi sono perso un bel po' di discussione..

    Intanto rispondo a Chaos e AtomBomb sulla questione dei lavoratori cinesi ammettendo ignoranza sull'argomento. Mi rendo conto che avendo la rete a disposizione la domanda suona come espressione di pigrizia notevole, ma se avete suggerimenti per informazioni sulla questione sparatene.


    Teorie, però quando i privati, i capitalisti, hanno sfasciato le economie planetarie è dovuto intervenire lo Stato per rimettere le cose a posto, perché altrimenti il tanto decantato mercato sarebbe andato a escort.

    Quando lo Stato si è defilato, concedendo deregulation su deregulation, concedendo ai capitalisti quello che chiedevano, il liberismo, la libertà d'azione, agire tanto il mercato si sarebbe sistemato da solo, ci siamo ritrovati con una crisi mondiale che non accenna a finire, e in Italia con 2/3 generazioni senza né presente né futuro.

    Quando i privati, i capitalisti fanno cazzate, è lo Stato a intervenire per salvare i loro sederini.



    Atom, fossi in te però io distinguerei molto fortemente il caso italiano dal resto del mondo, quello che dici ne guadagnerebbe parecchio.
    Perchè? Perchè in Italia è vero eccome che "2/3 generazioni" non hanno "né presente né futuro", però è molto azzardato mettere questo in relazione con deregulation e liberismo, cose che nel nostro Paese non si sa proprio dove stiano di casa, tanto che l'unico politico di rilievo che ha puntato sul definirsi "liberale" è Silviuccio bello, che ovviamente di liberale ha (forse) solo i costumi sessuali.
    Si tratta infatti del frutto dell'immobilismo (e della ingordigia) di una classe politica inadeguata che dura da almeno 15 anni, e infatti se non ricordo male è proprio da 15 anni circa che la produttività dei lavoratori italiani è sostanzialmente ferma.
    Almeno un elemento che sembra sostenere l'idea che almeno parte dei problemi italiani siano frutto dell'affidarsi al mercato c'è in effetti, e si tratta delle innovazioni nel mercato del lavoro, che suppongo siano uno degli elementi principali che hai in mente tu.
    Ora è vero che la "precarietà" è un problema (per quanto il termine sia abusato), ma è un problema di incentivi perversi determinati dal fatto che il mercato del lavoro italiano è dualistico: abbiamo cioè una serie di figure contrattuali che hanno praticamente 0 protezione, e i contratti a tempo indeterminato che in media prevedono una protezione molto forte. E' evidente che questo disincentiva un datore di lavoro ad assumere a tempo indeterminato, rinnovando invece di (mettiamo) sei mesi in sei mesi.
    Ma allora appunto è stato un errore introdurre quelle tipologie contrattuali, si potrebbe dire. Si potrebbe, però se uno guarda a quanto è diminuita la disoccupazione da quando sono state messe in atto queste riforme, magari non è questa la risposta che viene in mente..

    Per quanto riguarda invece il quadro globale, se quello che stai "proponendo" è uno stato che intervenga a proteggere e mantenere la concorrenza, siamo d'accordo. Con questo intendo l'attività antitrust, e in finanza sarebbe/sarebbe stato fondamentale evitare che istituzioni divengano "too big to fail". Nessun liberale può infatti vedere di buon occhio casi in cui i profitti sono privati ma le perdite vengono poi socializzate: il mercato è un meccanismo che premia ma anche che necessariamente punisce. Se elimini la punizione crei enorme "moral hazard", cioè incentivo ad assumere comportamenti rischiosi, perchè tanto se mi va male c'è lo stato a sostenermi.
    Ma è spesso proprio l'interventismo pubblico fatto in modo sbagliato (cioè, io credo, qualsiasi modo che vada a operare su singole istituzioni, o almeno che lo faccia senza determinare sufficienti "punizioni") a creare queste situazioni.
    Senza volere entrare in uno "stato vs mercato" che come tutte le contrapposizioni nette ha poco senso, quando invochiamo l'intervento statale come soluzione ricordiamoci ad esempio dell'attitudine del governo americano verso mortgage-backed securities prima della crisi.
    E quando parliamo di Europa ricordiamo che la crisi greca ad esempio non deriva da nient'altro che l'irresponsabilità dei politici greci..



    E' una cosa che avevo sentito sia su La7 che su Rainews.

    Un attimo, quando è stata fatta la legge 30/2003, Confindustria chiedeva esplicitamente di liberalizzare i contratti, di avere maggiore flessibilità, che è stata concessa, proprio così come la chiedevano, con tanto di abolizione dell'articolo 18, e si continua sulla strada di mettere tutto il potere nelle mani dei privati (collegato lavoro e deliri di Marchionne), tutto questo è stato concesso, e puntualmente ne hanno abusato.

    La disoccupazione è diminuita? E ci credo, con contratti senza contributi, ferie, malattia, protezione, minimo salariale praticamente un lavoratore costa al netto dello stipendio, o i vari contratti part-time o le varie partite IVA, che però erano praticamente dei dipendenti, i contratti con le agenzie, la disoccupazione non diminuiva perché le cose andavano bene, diminuiva perché questi contratti lasciavano quasi la totale libertà alle aziende.

    La crisi non è figlia delle deregulation?

    Commodity Futures Modernization Act per esempio, che ha agito più sui derivati che sul resto, così come le deregulation degli anni '80 sotto Reagan, e queste, fra le tante fatte da Reagan, hanno veramente toccato risparmi e prestiti, i Reaganomics hanno messo le basi per tutto quello che è successo, grazie all'ingegno di personaggi come Phil Gramm, sono cose abbastanza note.

    Come al solito, io Stato ti concedo delle libertà, tu settore privato puntualmente ne abusi, poi sempre io Stato devo sistemare i danni che fai.

    Quanti soldi costa la crisi alle casse di uno Stato, o quanto costa il precariato ad uno Stato con gli ammortizzatori sociali?

    Chi ci guadagna veramente in tutto questo? L'apparato statale, la comunità o una piccola fetta di privilegiati? Io dico l'ultima, e i dati e i fatti accaduti confermano questa tendenza.

    Aspetta, io non intendo uno Stato che sostenga le imprese, tutt'altro, anzi, al limite, se le imprese vogliono aiuti statali devono dare qualcosa, o sotto forma di percentuali di proprietà, o sottoscrivere precisi impegni, se un'azienda deve fallire, che fallisca, se vuole aiuti, ci sono le condizioni per riceverli, cosa che in Italia non è mai stata fatta; io voglio uno Stato che metta le regole, invece che toglierle, che controlli quello che fanno le aziende e i grandi gruppi.
    [Modificato da AtomBomb 21/12/2010 13:15]
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    Raskolnikov29
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    00 21/12/2010 14:45
    Re: Re:
    AtomBomb, 21/12/2010 12.56:



    E' una cosa che avevo sentito sia su La7 che su Rainews.

    Un attimo, quando è stata fatta la legge 30/2003, Confindustria chiedeva esplicitamente di liberalizzare i contratti, di avere maggiore flessibilità, che è stata concessa, proprio così come la chiedevano, con tanto di abolizione dell'articolo 18, e si continua sulla strada di mettere tutto il potere nelle mani dei privati (collegato lavoro e deliri di Marchionne), tutto questo è stato concesso, e puntualmente ne hanno abusato.

    La disoccupazione è diminuita? E ci credo, con contratti senza contributi, ferie, malattia, protezione, minimo salariale praticamente un lavoratore costa al netto dello stipendio, o i vari contratti part-time o le varie partite IVA, che però erano praticamente dei dipendenti, i contratti con le agenzie, la disoccupazione non diminuiva perché le cose andavano bene, diminuiva perché questi contratti lasciavano quasi la totale libertà alle aziende.



    Beh, fino a un certo punto, l'articolo 18 è ancora là mi pare (io poi francamente lo toglierei).
    Tra parentesi più che alla 30/2003 che probabilmente ha parecchi difetti pensavo a interventi precedenti, mi pare che la "liberalizzazione" del tempo determinato sia del 2001..

    Comunque, certo, per la libertà alle aziende, mica dico il contrario, ma se questo significa che n individui in più possono lavorare anzi che essere disoccupati è o non è un guadagno per la società?
    Voglio dire, c'è un buon motivo per introdurre flessibilità e cioè che le imprese tengono conto dei vincoli che vengono imposti. Se licenziare un lavoratore è difficilissimo, ci penso due volte prima di assumerlo. Questo è intuitivo ed è confermato dai dati: più rigidità significa più disoccupazione. Questo a parità di altri fattori, nel senso cioè che se esistessero una Italia A e una Italia B differenti solo per il grado di rigidità l'Italia più flessibile avrebbe x punti di disoccupazione in meno.
    Il che non significa che il livello di protezione ottimale sia 0, vuol dire che c'è un trade off e che il livello ottimale sta probabilmente da qualche parte in mezzo tra protezione totale e protezione inesistente. In Italia siamo più vicini a questo livello prima o dopo le riforme? Data la riduzione del tasso di disoccupazione io direi dopo; si può argomentare il contrario ma io credo che quel dato sposti l'onere della prova su chi vorrebbe tornare indietro.


    La crisi non è figlia delle deregulation?

    Commodity Futures Modernization Act per esempio, che ha agito più sui derivati che sul resto, così come le deregulation degli anni '80 sotto Reagan, e queste, fra le tante fatte da Reagan, hanno veramente toccato risparmi e prestiti, i Reaganomics hanno messo le basi per tutto quello che è successo, grazie all'ingegno di personaggi come Phil Gramm, sono cose abbastanza note.



    Scusami ma non mi pare di avere parlato di deregulation e crisi americana (da cui globale).
    La deregulation sicuramente ha (o almeno ha contribuito) a una enorme crescita del settore finanziario. Giungere da qui ad altre conclusioni non è facile.



    Come al solito, io Stato ti concedo delle libertà, tu settore privato puntualmente ne abusi, poi sempre io Stato devo sistemare i danni che fai.

    Quanti soldi costa la crisi alle casse di uno Stato, o quanto costa il precariato ad uno Stato con gli ammortizzatori sociali?

    Chi ci guadagna veramente in tutto questo? L'apparato statale, la comunità o una piccola fetta di privilegiati? Io dico l'ultima, e i dati e i fatti accaduti confermano questa tendenza.


    Aspetta, io non intendo uno Stato che sostenga le imprese, tutt'altro, anzi, al limite, se le imprese vogliono aiuti statali devono dare qualcosa, o sotto forma di percentuali di proprietà, o sottoscrivere precisi impegni, se un'azienda deve fallire, che fallisca, se vuole aiuti, ci sono le condizioni per riceverli, cosa che in Italia non è mai stata fatta; io voglio uno Stato che metta le regole, invece che toglierle, che controlli quello che fanno le aziende e i grandi gruppi.



    Boh qua mi sembra di non avere niente da aggiungere rispetto a quanto scritto nel post precedente.


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    Raskolnikov29
    Post: 4.292
    Registrato il: 22/09/2007
    TW World Champion
    00 21/12/2010 15:11
    Re: Re:
    Nick Heavens, 21/12/2010 11.58:




    E vabbè, qua si arriva al delirio collettivo semplicemente in chiave anti-comunistam forzata.





    Allora, su Marx un problema è che è tanto distante dall'economia moderna che uno che studia economia deve fare uno sforzo di contestualizzazione non indifferente. Per esempio in Marx se ricordo bene c'è il "valore di scambio" ma c'è anche la "quantità di lavoro", che è una cosa che non esiste nell'economia moderna, dove in genere
    Per cui tanto per cominciare uno si rompe i coglioni.
    E se li rompe perchè la sensazione che non valga la pena è forte.
    Voglio dire, prendiamo le "predizioni" fondamentali estrapolabili dalla teoria marxista: caduta tendenziale del saggio di profitto (con annesso aumento della disuguaglianza tra "lavoratori" e "capitalisti", no?) e crisi di sovrapproduzione.
    Nessuna di queste regge al confronto coi dati. La prima? Macchè. La seconda? Aumento della disuguaglianza sì, ma la direttrice fondamentale non è "lavoro" vs "capitale".
    Inoltre Marx viene riesumato a ogni recessione, peccato che adesso per esempio questa ha poco a che fare con la domanda e molto a che fare con l'offerta.
    E stiamo ancora aspettando il grande kaboom finale, annunciato a ogni flessione di PIL.
    Peraltro ho l'impressione che l'insistenza sulla "quantità di lavoro" porti a contraddizioni logiche..
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    AtomBomb
    Post: 30.265
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    Mi fanno male le dita
    00 21/12/2010 15:15
    Re: Re: Re:
    Raskolnikov29, 21/12/2010 14.45:

    AtomBomb, 21/12/2010 12.56:



    E' una cosa che avevo sentito sia su La7 che su Rainews.

    Un attimo, quando è stata fatta la legge 30/2003, Confindustria chiedeva esplicitamente di liberalizzare i contratti, di avere maggiore flessibilità, che è stata concessa, proprio così come la chiedevano, con tanto di abolizione dell'articolo 18, e si continua sulla strada di mettere tutto il potere nelle mani dei privati (collegato lavoro e deliri di Marchionne), tutto questo è stato concesso, e puntualmente ne hanno abusato.

    La disoccupazione è diminuita? E ci credo, con contratti senza contributi, ferie, malattia, protezione, minimo salariale praticamente un lavoratore costa al netto dello stipendio, o i vari contratti part-time o le varie partite IVA, che però erano praticamente dei dipendenti, i contratti con le agenzie, la disoccupazione non diminuiva perché le cose andavano bene, diminuiva perché questi contratti lasciavano quasi la totale libertà alle aziende.



    Beh, fino a un certo punto, l'articolo 18 è ancora là mi pare (io poi francamente lo toglierei).
    Tra parentesi più che alla 30/2003 che probabilmente ha parecchi difetti pensavo a interventi precedenti, mi pare che la "liberalizzazione" del tempo determinato sia del 2001..

    Comunque, certo, per la libertà alle aziende, mica dico il contrario, ma se questo significa che n individui in più possono lavorare anzi che essere disoccupati è o non è un guadagno per la società?
    Voglio dire, c'è un buon motivo per introdurre flessibilità e cioè che le imprese tengono conto dei vincoli che vengono imposti. Se licenziare un lavoratore è difficilissimo, ci penso due volte prima di assumerlo. Questo è intuitivo ed è confermato dai dati: più rigidità significa più disoccupazione. Questo a parità di altri fattori, nel senso cioè che se esistessero una Italia A e una Italia B differenti solo per il grado di rigidità l'Italia più flessibile avrebbe x punti di disoccupazione in meno.
    Il che non significa che il livello di protezione ottimale sia 0, vuol dire che c'è un trade off e che il livello ottimale sta probabilmente da qualche parte in mezzo tra protezione totale e protezione inesistente. In Italia siamo più vicini a questo livello prima o dopo le riforme? Data la riduzione del tasso di disoccupazione io direi dopo; si può argomentare il contrario ma io credo che quel dato sposti l'onere della prova su chi vorrebbe tornare indietro.


    La crisi non è figlia delle deregulation?

    Commodity Futures Modernization Act per esempio, che ha agito più sui derivati che sul resto, così come le deregulation degli anni '80 sotto Reagan, e queste, fra le tante fatte da Reagan, hanno veramente toccato risparmi e prestiti, i Reaganomics hanno messo le basi per tutto quello che è successo, grazie all'ingegno di personaggi come Phil Gramm, sono cose abbastanza note.



    Scusami ma non mi pare di avere parlato di deregulation e crisi americana (da cui globale).
    La deregulation sicuramente ha (o almeno ha contribuito) a una enorme crescita del settore finanziario. Giungere da qui ad altre conclusioni non è facile.



    Come al solito, io Stato ti concedo delle libertà, tu settore privato puntualmente ne abusi, poi sempre io Stato devo sistemare i danni che fai.

    Quanti soldi costa la crisi alle casse di uno Stato, o quanto costa il precariato ad uno Stato con gli ammortizzatori sociali?

    Chi ci guadagna veramente in tutto questo? L'apparato statale, la comunità o una piccola fetta di privilegiati? Io dico l'ultima, e i dati e i fatti accaduti confermano questa tendenza.


    Aspetta, io non intendo uno Stato che sostenga le imprese, tutt'altro, anzi, al limite, se le imprese vogliono aiuti statali devono dare qualcosa, o sotto forma di percentuali di proprietà, o sottoscrivere precisi impegni, se un'azienda deve fallire, che fallisca, se vuole aiuti, ci sono le condizioni per riceverli, cosa che in Italia non è mai stata fatta; io voglio uno Stato che metta le regole, invece che toglierle, che controlli quello che fanno le aziende e i grandi gruppi.



    Boh qua mi sembra di non avere niente da aggiungere rispetto a quanto scritto nel post precedente.





    Il primo a metterci mano fu Treu nel 97, la futura legge 30/2003 fu presentata come DDL nel 2001, approvata e promulgata 2 anni dopo, 2003 appunto.

    Tutto questo non è affatto un bene per la società, perché queste persone non hanno stabilità, perché io azienda dovrei assumerti a tempo indeterminato, pagarti i contributi, le ferie, la malattia, quando posso scegliere altre forme contrattuali che mi permettono di licenziarti come e quando mi pare, di non doverti corrispondere il minimo salariale, di non doverti pagare ferie e malattia, di non versarti i contributi?

    Perché dovrei assumerti quando posso prenderti in prestito, o posso farti lavorare come se fossi un esterno della mia azienda?

    Questo è quello che è successo in Italia.

    Gente che lavora a singhiozzo, con stipendi da fame, senza futuro, senza presente, tutto questo "così le aziende restano competitive [SM=x54480]", a me questa sembra la più grossa stronzata partorita in Italia dopo le leggi razziali.

    E' inutile basarsi solo su teorie economiche, su numeri, su valori, senza guardare chi viene conteggiato in quei valori, quando in realtà la gente che lavora è comunque "povera", a cosa serve lavorare se tanto il tuo impegno non ti garantisce la sopravvivenza, non ti aiuta a crearti la tua indipendenza e non ti permette di progettare un futuro?

    Mica si lavora per la gloria, o per limitarsi a mangiare, si lavora per poter migliorare la propria vita, per uscire da casa, per farsi una famiglia, per togliersi soddisfazioni, mica si lavora per far restare competitive le aziende (ovvio a meno che uno non sia un aziendalista), si lavora per sé stessi.

    Serve solo alle aziende, puro e semplice.

    Lavorano più persone di prima? E come lavorano? Meglio o peggio? Ci sono più o meno diritti? Più o meno soldi? Più o meno futuro?

    Non c'è niente di tutto questo, non ci sono diritti, non c'è miglioramento delle condizioni lavorative, non ci sono soldi, non c'è futuro.

    Allora a chi sono servite queste riforme?

    Alle aziende per pagare meno i lavoratori e farli lavorare solo quando fa comodo a loro, ai governi, per bullarsi di un tasso di disoccupazione sceso (per 2 anni, adesso è il più alto dal 2004), fatto di gente che lavora 3 mesi sì e 3 mesi no, fatto di gente che lavorava part time, fatto di migliaia di persone che "lavoravano" a provvigioni.

    Tu mi parli del tasso di disoccupazione, cioè numeri, cifre, io ti parlo della qualità di queste cifre, della qualità della vita e del lavoro di chi compone quei numeri.

    Quel 2% di lavoratori in più chi sono? Impiegati, operai, con contratto a tempo indeterminato; o sono lavoratori a progetto, co.co.co., co.co.pro., gente alla mercé della mafia delle agenzie, venditori a partita IVA, venditori a provvigioni, gente con contratto a chiamata, gente con contratto mese per mese, gente che lavora a singhiozzo, gente col contratto a progetto, apprendisti fino a 30 anni?

    Perché se ci limitiamo a guardare le cifre, senza guardare cosa compone quelle cifre, possiamo anche dire che il modello cinese è il migliore del mondo.
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    Raskolnikov29
    Post: 4.293
    Registrato il: 22/09/2007
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    00 21/12/2010 15:19
    Mi riservo il diritto di essermi stancato, almeno per ora.

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