Raskolnikov29, 21/12/2010 14.45:
AtomBomb, 21/12/2010 12.56:
E' una cosa che avevo sentito sia su La7 che su Rainews.
Un attimo, quando è stata fatta la legge 30/2003, Confindustria chiedeva esplicitamente di liberalizzare i contratti, di avere maggiore flessibilità, che è stata concessa, proprio così come la chiedevano, con tanto di abolizione dell'articolo 18, e si continua sulla strada di mettere tutto il potere nelle mani dei privati (collegato lavoro e deliri di Marchionne), tutto questo è stato concesso, e puntualmente ne hanno abusato.
La disoccupazione è diminuita? E ci credo, con contratti senza contributi, ferie, malattia, protezione, minimo salariale praticamente un lavoratore costa al netto dello stipendio, o i vari contratti part-time o le varie partite IVA, che però erano praticamente dei dipendenti, i contratti con le agenzie, la disoccupazione non diminuiva perché le cose andavano bene, diminuiva perché questi contratti lasciavano quasi la totale libertà alle aziende.
Beh, fino a un certo punto, l'articolo 18 è ancora là mi pare (io poi francamente lo toglierei).
Tra parentesi più che alla 30/2003 che probabilmente ha parecchi difetti pensavo a interventi precedenti, mi pare che la "liberalizzazione" del tempo determinato sia del 2001..
Comunque, certo, per la libertà alle aziende, mica dico il contrario, ma se questo significa che n individui in più possono lavorare anzi che essere disoccupati è o non è un guadagno per la società?
Voglio dire, c'è un buon motivo per introdurre flessibilità e cioè che le imprese tengono conto dei vincoli che vengono imposti. Se licenziare un lavoratore è difficilissimo, ci penso due volte prima di assumerlo. Questo è intuitivo ed è confermato dai dati: più rigidità significa più disoccupazione. Questo a parità di altri fattori, nel senso cioè che se esistessero una Italia A e una Italia B differenti solo per il grado di rigidità l'Italia più flessibile avrebbe x punti di disoccupazione in meno.
Il che non significa che il livello di protezione ottimale sia 0, vuol dire che c'è un trade off e che il livello ottimale sta probabilmente da qualche parte in mezzo tra protezione totale e protezione inesistente. In Italia siamo più vicini a questo livello prima o dopo le riforme? Data la riduzione del tasso di disoccupazione io direi dopo; si può argomentare il contrario ma io credo che quel dato sposti l'onere della prova su chi vorrebbe tornare indietro.
La crisi non è figlia delle deregulation?
Commodity Futures Modernization Act per esempio, che ha agito più sui derivati che sul resto, così come le deregulation degli anni '80 sotto Reagan, e queste, fra le tante fatte da Reagan, hanno veramente toccato risparmi e prestiti, i Reaganomics hanno messo le basi per tutto quello che è successo, grazie all'ingegno di personaggi come Phil Gramm, sono cose abbastanza note.
Scusami ma non mi pare di avere parlato di deregulation e crisi americana (da cui globale).
La deregulation sicuramente ha (o almeno ha contribuito) a una enorme crescita del settore finanziario. Giungere da qui ad altre conclusioni non è facile.
Come al solito, io Stato ti concedo delle libertà, tu settore privato puntualmente ne abusi, poi sempre io Stato devo sistemare i danni che fai.
Quanti soldi costa la crisi alle casse di uno Stato, o quanto costa il precariato ad uno Stato con gli ammortizzatori sociali?
Chi ci guadagna veramente in tutto questo? L'apparato statale, la comunità o una piccola fetta di privilegiati? Io dico l'ultima, e i dati e i fatti accaduti confermano questa tendenza.
Aspetta, io non intendo uno Stato che sostenga le imprese, tutt'altro, anzi, al limite, se le imprese vogliono aiuti statali devono dare qualcosa, o sotto forma di percentuali di proprietà, o sottoscrivere precisi impegni, se un'azienda deve fallire, che fallisca, se vuole aiuti, ci sono le condizioni per riceverli, cosa che in Italia non è mai stata fatta; io voglio uno Stato che metta le regole, invece che toglierle, che controlli quello che fanno le aziende e i grandi gruppi.
Boh qua mi sembra di non avere niente da aggiungere rispetto a quanto scritto nel post precedente.
Il primo a metterci mano fu Treu nel 97, la futura legge 30/2003 fu presentata come DDL nel 2001, approvata e promulgata 2 anni dopo, 2003 appunto.
Tutto questo non è affatto un bene per la società, perché queste persone non hanno stabilità, perché io azienda dovrei assumerti a tempo indeterminato, pagarti i contributi, le ferie, la malattia, quando posso scegliere altre forme contrattuali che mi permettono di licenziarti come e quando mi pare, di non doverti corrispondere il minimo salariale, di non doverti pagare ferie e malattia, di non versarti i contributi?
Perché dovrei assumerti quando posso prenderti in prestito, o posso farti lavorare come se fossi un esterno della mia azienda?
Questo è quello che è successo in Italia.
Gente che lavora a singhiozzo, con stipendi da fame, senza futuro, senza presente, tutto questo "così le aziende restano competitive
", a me questa sembra la più grossa stronzata partorita in Italia dopo le leggi razziali.
E' inutile basarsi solo su teorie economiche, su numeri, su valori, senza guardare chi viene conteggiato in quei valori, quando in realtà la gente che lavora è comunque "povera", a cosa serve lavorare se tanto il tuo impegno non ti garantisce la sopravvivenza, non ti aiuta a crearti la tua indipendenza e non ti permette di progettare un futuro?
Mica si lavora per la gloria, o per limitarsi a mangiare, si lavora per poter migliorare la propria vita, per uscire da casa, per farsi una famiglia, per togliersi soddisfazioni, mica si lavora per far restare competitive le aziende (ovvio a meno che uno non sia un aziendalista), si lavora per sé stessi.
Serve solo alle aziende, puro e semplice.
Lavorano più persone di prima? E come lavorano? Meglio o peggio? Ci sono più o meno diritti? Più o meno soldi? Più o meno futuro?
Non c'è niente di tutto questo, non ci sono diritti, non c'è miglioramento delle condizioni lavorative, non ci sono soldi, non c'è futuro.
Allora a chi sono servite queste riforme?
Alle aziende per pagare meno i lavoratori e farli lavorare solo quando fa comodo a loro, ai governi, per bullarsi di un tasso di disoccupazione sceso (per 2 anni, adesso è il più alto dal 2004), fatto di gente che lavora 3 mesi sì e 3 mesi no, fatto di gente che lavorava part time, fatto di migliaia di persone che "lavoravano" a provvigioni.
Tu mi parli del tasso di disoccupazione, cioè numeri, cifre, io ti parlo della qualità di queste cifre, della qualità della vita e del lavoro di chi compone quei numeri.
Quel 2% di lavoratori in più chi sono? Impiegati, operai, con contratto a tempo indeterminato; o sono lavoratori a progetto, co.co.co., co.co.pro., gente alla mercé della mafia delle agenzie, venditori a partita IVA, venditori a provvigioni, gente con contratto a chiamata, gente con contratto mese per mese, gente che lavora a singhiozzo, gente col contratto a progetto, apprendisti fino a 30 anni?
Perché se ci limitiamo a guardare le cifre, senza guardare cosa compone quelle cifre, possiamo anche dire che il modello cinese è il migliore del mondo.