Non vorrei sembrare bastian contrario, ma la distinzione tra buono e cattivo, tra bene e male, tra face e heel, è fondamentale e non banale, vitale per la narrazione, dunque vitale per il pro-wrestling, prettamente quello occidentale. Ora che i gusti si evolvano, che la divisione non sia netta e manichea, che ci siano molte sfumature da dare e sviluppare ai propri interpreti, siamo tutti d'accordo, immagino. Ma da questo non si può prescindere con la distinzione (che ripeto può anche solo esser una condotta di fondo di tale personaggio piuttosto che no), non può mancare. E non può farlo perchè questo ci permette la costruzione delle storie, senza le quali, va da sè, non ci si appassiona, non si segue quello che accade e se questo non avviene, pena l'oblio. Il fatto che questi poi rispecchi alla fine ciò che avviene anche nella realtà non sono io a doverlo spiegare, ma pare piuttosto ovvio. Merito di writer a la Russo (mi riferisco sopratutto all'ultima gestione pre Hogan-Bischoff) può essere quello di aver svecchiato e/o 'modernizzato' (ma il termine è errato se lo si concepisce come periodo storico) la figura di ciò che è un comportamento da heel e ciò che è un comportamento da face, figura che per quel che mi riguarda deve sempre rivestire un ruolo subordinato rispetto alla storyline, sia chiaro. Il problema alla fine si sposta proprio sullo sviluppo di archi narrativi nel quale far collidere i nostri, senza per forza ricorrere agli stilemi triti e ritriti del genere. In soldoni: non mi importa che la base della story sia la 'solita' io (heel) voglio il tuo titolo (face), ma come il tutto viene realizzato, senza scadere in situazioni troppo banali e 'discordanti' con ciò che l'attuale momento storico invece propone in altri prodotti d'intrattenimento.